Deposito iva: mancata introduzione fisica della merce in deposito.

Deposito IVA: in caso di mancata introduzione fisica della merce in deposito,

la dogana non può richiedere l’IVA già stata assolta mediante il reverse charge.

 

La corte di Giustizia dell’UE, con sentenza della Sesta Sezione del 17 luglio 2014

pronunciata su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dalla Commissione

Tributaria Regionale per la Toscana) — Equoland Soc. coop. arl/Agenzia delle Dogane

— Ufficio delle Dogane di Livorno (Causa C-272/13), affronta il problema della

mancata introduzione fisica in un deposito IVA di merci importate nel territorio dello

Stato.

Nella causa trattata dalla Corte di Giustizia, una società, soggetto passivo IVA in

Italia, importava nel territorio dello Stato merci da un paese terzo, indicando nella

dichiarazione doganale il loro vincolo al regime del deposito Iva. Alla data della

operazione in questione non veniva pertato effettuato il versamento dell’Iva

all’importazione, applicandosi il beneficio della sospensione del tributo in questione.

Le merci sono successivamente state inserite contabilmente nel registro di magazzino

in entrata ed in uscita, ma non anche fisicamente. Al momento della relativa

estrazione dal deposito la società ha assolto l’Iva mediante il meccanismo

dell’inversione contabile (reverse charge). A seguito di un controllo, l’Agenzia delle

Dogane ha contestato il mancato rispetto dei presupposti per ottenere il regime di

sospensione dell’IVA, in quanto le merci non erano state introdotte anche

materialmente nel deposito fiscale, richiedendo alla società l’Iva dovuta

all’importazione, oltre alla sanzione del 30% ai sensi dell’art.13 del D.Lgs. 471/97.

L’art. 50-bis D.L. 331/93 è stato infatti interpretato dall’Agenzia delle Dogane (vedasi

la circolare n. 16/D del 28 aprile 2006), nel senso che la merce deve essere introdotta

fisicamente in tali depositi ai fini della soddisfazione del regime di deposito stesso.

A seguito dell’impugnazione della decisione dell’Agenzia delle Dogane dinanzi alla

Corte di Giustizia UE, la Corte commenta che agli Stati Membri è riconosciuta la

facoltà di adottare provvedimenti particolari e le formalità che il soggetto passivo deve

adempiere per poter beneficiare della sospensione del pagamento dell’Iva

sull’importazione prevista dall’art. 16, paragrafo 1, VI Direttiva CEE. In virtù di tale

facoltà viene avallata la scelta del legislatore italiano di subordinare il godimento di

sospensione dell’IVA all’obbligo di introduzione materiale (e non solo virtuale) della

merce nel deposito stesso. La Corte tuttavia precisa anche che gli Stati membri sono

tenuti a rispettare il diritto dell’Unione nonché i suoi principi generali, fra cui il

principio di proporzionalità. E poiché l’inosservanza dell’obbligo di introdurre

fisicamente la merce all’interno del deposito fiscale non comporta il mancato

pagamento dell’Iva all’importazione (poiché la stessa viene comunque assolta dal

soggetto passivo con il meccanismo dell’inversione contabile), l’Agenzia delle Dogane

non può pretendere un nuovo pagamento dell’IVA, non riconoscendo alcun diritto alla

detrazione rispetto all’IVA già pagata tramite reverse charge (in sostanza, mediante

un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del

soggetto passivo).

Quindi, nella fattispecie in esame la società italiana avrebbe realizzato semplicemente

un pagamento tardivo dell’Iva, che in mancanza di un tentativo di frode e di danno al

bilancio dello Stato, costituisce una violazione formale che non può mettere in

discussione il diritto alla detrazione. La Corte ha contestato sia l’ammontare della

sanzione del 30%, ritenendo che per l’entità della percentuale fissata e per

l’impossibilità di adeguarla alle circostanze specifiche di ogni caso di specie non si

esclude che possa rivelarsi sproporzionata, sia la richiesta di un nuovo versamento

dell’IVA, perché in questo modo verrebbe a privare il soggetto passivo del diritto alla

detrazione.